Nel caso L.H. v. Latvia il giudice europeo ha condannato l’indebita intromissione di un organizzazione pubblica nella privacy di una cittadina lettone. Sullo scorcio di un processo per responsabilità medica, nel quale la Sign.ra L.H. chiamava i medici a rispondere dell’infertilità procuratele al seguito di un parto cesareo, l’ospedale si era affidato alla “Quality Control for Medical Care and Fitness for Work” (“MADEKKI”), ente governativo, per avviare un’indagine amministrativa: lo scopo – latente – era conoscere la situazione medica della paziente nella sua vita e raccogliere prove per scagionare l’ospedale: situazione cliniche pregresse della ricorrente avrebbero determinato l’infertilità, e non l’imperizia dei medici.
La Corte di Strasburgo si è pronunciata vincendo il velo di legalità della vicenda: è vero che l’ente amministrativo svolgeva un’indagine secundum legem, ma è anche vero che “la legge lettone applicata non era formulata con sufficiente precisione e non offriva una protezione legale adeguata contro i soprusi“. Insomma, di legge si trattava sì, ma di una legge che non faceva il suo dovere! Una legge che non garantisce dai soprusi, ma lascia carta bianca al potere della macchina statale, non risponde a quel concetto di “in accordance with the law” che la Corte Europea ha sviluppato negli anni e che interviene a garantire.
Tutti i paesi conoscono un più o meno sincero principio di legalità. E tutti hanno strumenti che garantiscano che i funzionari pubblici rispettino le leggi. Ma può capitare che, come in questo caso, la verità sfugga alla giustizia nazionale: lì la Corte Europea può fare la differenza.
In conclusione, la Lettonia è responsabile della violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea, che protegge la vita privata e familiare delle persone (anche) da indebite curiosità dell’Autorità, e dovrà pagare a beneficio della ricorrente, quale equa riparazione, 11.000 €, nonché rifondere tutte le spese di giustizia.