Lo scorso 19 novembre la Corte europea dei diritti dell’uomo ha visto fronteggiarsi una pensionata russa e l’Orso russo. Il casus belli è stata l’irrogazione alla pensionata di una sanzione amministrativa di circa 26 € (1.000 rubli) per aver marciato in un corteo di protesta dopo che le Autorità avevano ordinato ai manifestanti di disperdersi. Il ché sarebbe stato irrilevante, se non fosse stato che nel procedimento amministrativo la ricorrente non aveva potuto avvalersi dell’assistenza gratuita di un avvocato pagato dallo Stato, prevista dall’ordinamento giuridico russo per altri tipi di procedimenti (civili e penali), ma non per quello amministrativo.
Ciò è bastato alla ricorrente per rivendicare il diritto fondamentale di cui all’articolo 6 della Convezione europea e denunciarne la violazione: non può reputarsi infatti equo un processo penale in cui il cittadino sotto accusa non possa ricevere l’assistenza di un avvocato a spese dello Stato “se non ha i mezzi per retribuire un difensore“.
Tale diritto, tuttavia, è previsto soltanto per i procedimenti in cui ricorre un”accusa penale”. E questo è stato il terreno dello scontro. La pensionata russa, resa forse accorta dal suo avvocato, ben sapeva che per rinvenire un processo penale la Corte di Strasburgo si basa su criteri autonomi e del tutto indipendenti rispetto a quelli usati dagli ordinamenti nazionali (i c.d. criteri Engel): ciò che è penale (o materia amministrativa) a Mosca, non è detto che lo sia a Strasburgo.
Per tale ragione la Corte europea ha ritenuto che un procedimento sanzionatorio, pur configurato nell’ordinamento russo come un procedimento non penale (1° criterio Engel, mai decisivo nell’esame), e che aveva portato ad una sanzione di modestissimo valore (che dalla giurisprudenza Iussilla c. Finlandia non è elemento decisivo), non convertibile tra l’altro in pena detentiva laddove non pagata, poteva comunque ritenersi materia penale: è stato decisivo il rilievo che la sanzione perseguiva fini punitivi/repressivi anziché risarcitori (3° criterio Engel): la condotta incriminata poteva infatti essere punita, pur solo in circostanze eccezionali – come evidenziato invano dal Governo russo – con la detenzione per 25 giorni.
La Corte europea ha quindi accertato la responsabilità della Russia per violazione dell’equo processo, nell’accezione del diritto all’assistenza di un legale, e dovrà ora versare alla ricorrente 180 € per i costi giudiziari e ben 1.5000 € per il danno non patrimoniale arrecatele.