Negli ultimi 50 anni, nella Corea del Nord, sono morti nei campi di internamento centinaia di migliaia di prigionieri politici. Lo afferma un recentissimo rapporto delle Nazioni Unite, reso noto il 17 febbraio. Un report di ben 400 pagine, con una cospicua documentazione e testimonianze delle vittime, squarcia il velo di omertà mantenuto dal regime di Kim Jong-un.
«La gravità, la scala e la natura di queste violazioni rivelano uno Stato che non ha alcun parallelo nel mondo contemporaneo», ha affermato la Commissione d’inchiesta, istituita da una risoluzione del 21 marzo 2013 e composta dal giudice in pensione australiano Michael Kirby, da Sonja Biserko, fondatore e presidente del Comitato di Helsinki per i diritti umani in Serbia, e da Marzuki Darusman, ex procuratore generale di Indonesia.
Dal 1950 la violenza, guidata da «politiche definite al più alto livello dello Stato», si è concretizzata in detenzioni arbitrarie, rapimenti e sparizioni forzate di persone provenienti anche da altre nazioni. Atrocità indicibili sono state consumate nei campi di prigionia con la pratica sistematica della tortura, della privazione del cibo e di ogni forma di maltrattamenti.
La Commissione d’inchiesta ha parlato apertamente di crimini contro l’umanità, citando l’eliminazione sistematica dei prigionieri con esecuzioni e l’uso indiscriminato dei lavori forzati. Alle detenute, in particolare, non è stata risparmiata alcuna sofferenza, dagli stupri alla fame, dagli aborti forzati all’infanticidio.
Alla base dello spaventoso rapporto i giudici hanno posto la testimonianza di circa 80 persone ascoltati in audizioni pubbliche a Seoul, Tokyo, Londra e Washington DC, nonché più di 240 interviste confidenziali con le vittime e altri testimoni, raccolte in condizione di estrema riservatezza per non comprometterne l’incolumità.
La Commissione ha, inoltre, constatato che la Corea del Nord possiede molte caratteristiche di uno Stato totalitario, nel quale alberga «un rifiuto quasi totale del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione». La propaganda – è stato rilevato – viene utilizzata dal regime «per la fabbricazione di obbedienza assoluta alla Guida Suprema e per incitare all’odio nazionalistico nei confronti di alcuni altri Stati e dei loro cittadini». La sorveglianza dello Stato permea tutta la vita privata e praticamente nessuna espressione critica del sistema politico passa inosservato o impunita. Tutto il Paese è sotto il controllo del «vasto apparato politico e di sicurezza che utilizza strategicamente la sorveglianza, la coercizione, la paura e la punizione per impedire l’espressione di ogni dissenso».
Anche le prigioniere hanno subito indicibili violenze. Un testimone, sopravvissuto ad un campo di detenzione, ha raccontato di una donna incinta che era riuscita, nonostante la mancanza di cibo, a partorire un bambino. Il pianto del piccolo aveva, però, attirato l’attenzione di una guardia il quale, dopo averla picchiata, l’aveva costretta ad annegare il neonato con le sue stesse mani. Un’altra prigioniera era stata addirittura forzata a mangiare terra fino a morire soffocataAnche la popolazione femminile è sottoposta a continue violazioni dei diritti umani. Le privazioni del cibo e della libertà di circolazione hanno portato donne e ragazze a diventare vulnerabili alla tratta e costrette al lavoro sessuale al di fuori della Corea del Nord. Molte fuggono in Cina, nonostante l’alta probabilità dell’arresto, delle persecuzioni e degli stupri. Donne rimpatriate incinte vengono regolarmente sottoposte ad aborti forzati, mentre i bambini nati sono spesso uccisi.
Il rapporto richiede anche un’azione urgente per affrontare la violazione dei diritti, compreso il deferimento dei colpevoli alla Corte penale internazionale. Al report è, infatti, allegata una lettera inviata dai Commissari al Supremo Leader, Kim Jong-un, contenente un riepilogo delle violazioni sistematiche, diffuse e gravi dei diritti umani, comportanti «crimini contro l’umanità», nonché l’avviso al dittatore di poter essere considerato come uno dei colpevoli perché, anche se non direttamente coinvolto, «un comandante militare potrebbe essere ritenuto colpevole per i reati commessi dalle forze sotto la guida e il controllo effettivo del comandante»
A conclusione del lavoro della Commissione, queste sono state le eloquenti parole del suo presidente, Michael Kirby:
«Il mondo non può addurre l’ignoranza come scusa per aver fallito nel porre fine alle violazioni dei diritti umani in Corea del Nord. Al termine della seconda guerra mondiale molti hanno detto che se solo avessero saputo avrebbero agito. Adesso il mondo sa. Non c’è nessuna scusa»