“Una ragazza non possiede altro che il suo velo e la sua tomba”: così dice un antico proverbio saudita. Qualche semplice parola per raccontare la difficile storia delle donne arabe, che vivono una vita delimitata dall’assoluto maschilismo e dalla totale discriminazione nei confronti del genere femminile. Sono pochissimi i diritti riconosciuti alle donne in Arabia Saudita, ma sembra che lentamente stia cambiando la loro condizione, anche se di poco …
I FATTI – L’Arabia Saudita è ancora molto lontana dal garantire la parità dei sessi tra uomo e donna, non solo a livello astratto, teorico, giuridico ma soprattutto nella routine quotidiana. Infatti la donna araba è strettamente limitata in moltissime circostanze e occasioni che per una donna occidentale, invece, potrebbero costituire la normalità. Per esempio alla donna è vietato guidare: un gesto quotidiano, normale in ormai tutti i paesi del mondo tranne che in Arabia, che è l’unico paese in cui vige questo incomprensibile divieto.
Ma non solo: alle donne arabe non gli è concesso nemmeno allontanarsi dal paese in cui vivono. Infatti recentemente è stato introdotto un moderno sistema elettronico che avverte il marito con un sms sul cellulare, nel caso in cui la moglie cercasse di oltrepassare il confine. Questa novità è stata però fortemente criticata da una parte dei cittadini, che assumono posizioni meno “conservatrici”.
Naturalmente in Arabia Saudita, un altro aspetto “caratteristico” è l’obbligo per la donna di indossare il velo, il quale la copre completamente lasciando solo liberi gli occhi, quando cammina in luoghi pubblici. Inutile aggiungere che alla donna araba non è permesso assumere quegli incarichi tipicamente maschili come amministrare delle proprietà, svolgere determinati mestieri, accedere alle cariche pubbliche e a ruoli dirigenziali…
Questa visione radicale e integralista della donna è sostenuta dal wahabismo, una corrente islamica che interpreta le norme del Corano in maniera restrittiva, e dai numerosi gruppi tradizionalisti della società.
Malgrado queste correnti radicali, recentemente la situazione è leggermente migliorata su alcuni fronti. Una piccola conquista è stata il permesso di guidare biciclette. L’uso è limitato però al solo scopo ricreativo; per poterle usare come mezzo di trasporto devono essere, invece, accompagnate da un tutore ( il wali).
Ancor più importante è stata la decisione del re Abdullah di concedere alle donne il diritto di voto e di concorrere per le prossime elezioni municipali del 2015 (un’estensione dei diritti politici che non è di banale rilevanza).
Inoltre, recentemente, le donne arabe stanno portando avanti una lotta per conquistare il diritto di praticare sport nelle scuole e all’aria aperta, come beneficio educativo e per la salute.
FOCUS – Fino allo scorso anno l’Arabia Saudita vietava alle donne di partecipare alle Olimpiadi. Nessuna squadra femminile araba ha mai potuto gareggiare, ma qualcosa è cambiato nelle scorse Olimpiadi, tenutesi a Londra. Infatti Wujdan Shahrkhani – judo – e Sarah Attar – pista e campo – sono le due fortunate atlete saudite, a cui è stato permesso di partecipare.
È stato un evento eccezionale, considerando il rigido divieto per le donne di praticare sport all’aperto, tranne se non adeguatamente vestite e se non seguite da istruttrici, rigorosamente di genere femminile.
Anche negli istituti scolastici, praticare attività sportiva è un evento raro. È proibito sia nelle scuole statali ma anche in quelle private, dove però se ne contano pochi che lo concedono e che dispongano di infrastrutture adeguate anche per le ragazze.
In Arabia Saudita ogni vittoria “rosa” è un piccolo passo verso l’emancipazione femminile.
Minky Worden, direttore delle iniziative globali di Human Rights Watch, ha però fatto notare che: “Il mondo applaudì quando le donne saudite hanno condiviso la ribalta olimpica, ma milioni di donne e ragazze in Arabia Saudita sono ancora bloccate in panchina”. Non c’è affermazione migliore per ricordarci che questa conquista non è la meta! Questa è una battaglia vinta, ma sono molte quelle che devono ancora essere combattute.